Si chiama senso di colpa ed è un sentimento che tutti conosciamo. Le aziende, per definizione, non hanno sensi di colpa, salvo che non siano chiamate a rispondere del loro operato davanti a un giudice, agli azionisti oppure – peggio – davanti all’opinione pubblica.
Negli ultimi mesi però i produttori di smartphone e i proprietari delle grandi piattaforme tecnologiche hanno cominciato a fare i conti con un mutato clima d’opinione attorno alle loro creature. La tecnologia e il digitale, complici alcuni scandali, su tutti quello legato a Cambridge Analytica, non sono più i sovrani taumaturghi del presente, ma vengono considerati come strumenti e spazi in cui avventurarsi con cautela, osservandone pregi e difetti. Atteggiamento naturale, verrebbe da dire, scontato, ma che fin qui non è stato né l’uno, né l’altro.
Poche cose sono certe come la ricerca di forme di dipendenza da parte degli utenti verso le applicazioni. Una dipendenza simile a quella di chi gioca alle slot machine o ad alcuni video game come Candy Crush o Farmville. Come spiega bene Federico Mello nel suo “Il lato oscuro di Facebook“,
l’incredibile successo di questi giochi “social” si basa su uno schema elementare, funzionano tutti allo stesso modo e seguono tutti le stesse quattro regole.
1. Il gioco è semplice da capire, due click e stai già giocando.
2. Il gioco presenta un problema chiaro e soluzioni altrettanto chiare.
3. Un gioco intenso deve generare risultati a cascata.
4. I risultati a cascata devono avere elementi di casualità, imprevedibilità e ricompensa intermittente.
Queste quattro regole sono più che sufficienti per progettare videogame che creano alta dipendenza.
E per raggiungere questi risultati molti sono gli strumenti di neuromarketing che vengono utilizzati nel corso della progettazione sia dei giochi che delle applicazioni, dal colore rosso utilizzato per il simbolo delle notifiche alle cosiddette false notifiche, che servono solo ad attirare la nostra attenzione. Tutto è pensato per far tornare l’utente sull’applicazione affinché vi passi più tempo possibile, interagendo con essa.
Così fanno sorridere le nuove funzioni di molte applicazioni e sistemi operativi che consentono di calcolare quanto tempo una persona passa con quella applicazione. Fanno sorridere perché sono come le fotografie dei pazienti malati di tumore sui pacchetti di sigarette; da un certo punto di vista si tratta di immagini necessarie, ricordano i pericoli e i rischi che si corrono, ma pressoché inutili se si decide di smettere. Il punto da cui partire è l’accettazione che si è vittime di una dipendenza e come tale va trattato il fumo e l’alcolismo, allo stesso va considerato l’eccessivo utilizzo di smartphone e applicazioni.
La trovata di inserire queste funzioni di controllo serve alle aziende per ri-accreditarsi nei confronti dell’opinione pubblica. Per poter affermare che il tempo speso dentro i social network o utilizzando uno smartphone è tempo speso bene, è tempo speso per migliorare le relazioni con le persone e fare cose utili, in definitiva è tempo speso con consapevolezza. Ovviamente non c’è alcuna consapevolezza nell’utilizzo ripetuto decine di volte al giorno da parte di centinaia di milioni di utenti nel mondo. Si tratta di riflessi condizionati, in molti casi di dipendenza. Detto questo nelle nuove funzioni ci sarà la possibilità di “gestire il proprio tempo” (!), quello dei propri figli (attraverso il controllo dei loro device) e di “gestire le proprie notifiche“.
L’obiettivo evidente è quello di restituire all’utente la sensazione che il tempo e la concentrazioni sono elementi essenziali della sua vita, e che l’utente ne è padrone, l’unico padrone. Di più, come in molte attività della sua esistenza quotidiana la tecnologia – questo è il mantra della Silicon Valley – aiuta l’essere umano a migliorare, a essere più bravo nella gestione del suo tempo e nella ricerca di una concentrazione preziosa e altrimenti sfuggente. Concentrazione perduta per colpa della tecnologia stessa.
Se oggi Facebook annuncia funzioni simili a quanto già messo in cantiere da Apple per il nuovo sistema operativo iOs e da Android, è perché queste aziende non possono fare altrimenti. Devono poter dire: noi proviamo ad aiutarvi, poi sta a voi liberarvi da soli dalla catene che ogni giorno cerchiamo di mettervi attorno al collo. Auguri!