Questa ultima campagna elettorale regionale ha portato con sé una serie di considerazioni – e un ampio ventaglio di luoghi comuni – sull’uso dello spazio digitale da parte dei candidati e delle forze politiche.
Due elementi hanno colpito gli osservatori:
1. Una campagna su Bibbiano – fatta su Facebook – e diretta esclusivamente ai minorenni.
2. La quantità di denaro speso dalle forze politiche – sempre su Facebook – che vede largamente in testa la Lega e la candidata Borgonzoni, rispetto al Pd.
Il partito di Salvini ha speso 5 volte tanto il partito di Zingaretti.
Il PD ha speso poco perché – pare – i soldi non ci siano, così almeno spiega il responsabile della comunicazione. Aggiungendo che comunque la pagina Facebook del PD ha registrato +1,2 milioni di visualizzazioni.
In questa cornice alcuni esperti hanno commentato così:
- il PD snobba Facebook;
- i messaggi ai minorenni potrebbero «rappresentare una leva a supporto della mobilitazione offline più che della persuasione online», e cioè quelle inserzioni si inseriscono «nel discorso tra conoscenti, probabilmente legati da rapporti di stima e fiducia reciproca, in luoghi fisici e lontani della Rete»
- «le elezioni non si vincono con i meme e sostenerlo è un errore clamoroso. Le elezioni si vincono nella società e con un’offerta politica convincente».
Alcune considerazioni veloci.
- Non sappiamo chi vincerà le elezioni nel momento in cui pubblico questo post. Tuttavia sto scrivendo una cosa con l’ambizione che non invecchi in fretta. Perché indifferentemente dal risultato, dobbiamo ricordarci che – come ormai accade con regolarità dal 2008, e quindi spiace doverlo ricordare – una parte consistente della campagna elettorale è stata condotta nello spazio digitale, quindi nei social network. Il risultato della Lega (e quindi del suo candidato) sarà anche frutto di una proposta politica e di una comunicazione politica che ha speso risorse con intelligenza nello spazio digitale.
- Lo ripeto, così non ci sono equivoci: si vince con la proposta politica. Quale che sia il significato di questa affermazione, non si può concepire la ricerca del consenso come qualcosa di slegato dai luoghi della ricerca e della costruzione del consenso. I social network sono uno dei luoghi privilegiati della politica, della ricerca e della costruzione del consenso. E hanno una grammatica propria. Chi non la conosce, non la capisce, non la studia, parte in svantaggio.
- Inoltre la politica non è solo buona politica. Per dire, «Bonaccini dovrebbe stravincere: quando diventò presidente la disoccupazione era al 9%, adesso è al 5; l’Emilia è la prima Regione per crescita nel paese consecutivamente da 5 anni; è prima anche nell’export pro-capite; è prima per occupazione femminile (…); è l’unica regione ad aver già abolito il superticket; ha dimezzato le rette dei nidi», così scrive Alessandro De Angelis su HuffPost. Nonostante tutto questo la vittoria sembra appesa a un filo, quindi la cosiddetta “offerta politica convincente” rappresenta solo una formuletta. Sangue e merda, diceva lo stracitato Rino Formica, non ci siamo mossi da lì.
- Ecco perché le elezioni si vincono con i Meme e con una proposta politica. L’aggettivo convincente non regge, di sicuro non regge da solo: dobbiamo dire una proposta politica seducente, terrorizzante, allarmante. Lo ha fatto Trump a suo tempo (leggete Angela Nagle) e lo fanno molti che vincono oggi. La sinistra ha un problema enorme di sintonia, comprensione e, soprattutto, di utilizzo di oggetti digitali come i Meme. Non solo in Italia. Discutere ancora di tutto ciò risulta stucchevole, e purtroppo strumentale. Se ne parla solo per poter affermare con stolida pervicacia che Facebook non sposta voti. Le piazze spostano voti? Le strade spostano voti? I voti si raccoglievano nelle strade, oggi come nel 1950. Nel 2020 le strade sono le strade fisiche e Facebook (e Instagram, e TikTok, e Whatsapp).
- Oggi impera una logica assurda che considera il dibattito politico come qualcosa che prende forma in spazi che sono compartimenti stagni. Non esistono più i «luoghi fisici e lontani dalla Rete», ogni luogo è anche il suo omologo digitale. E non c’è bisogno di dimostrare questa affermazione.
- Di conseguenza qualunque prova portata a sostegno della tesi che Facebook non sposta voti, tesi che si fondi sulla centralità della radio o delle radio locali, della stampa locale, dei raduni, dei palchi con scritto “Giù le mani dai bambini”, è una tesi che dimentica la più clamorosa evidenza: le nostre connessioni moltiplicano i contenuti che escono dalle radio, dai raduni, dai palchi, dalla stampa, da pagine di partito o sconosciute e finanziate da chissà chi. I social network sono lo spazio in cui le comunità condividono qualunque tipo di contenuto, vero, fasullo, manipolatorio, e più in generale propagandistico. Certo che si vincono le elezioni su Facebook, basta saperci stare dentro i social network.
- A proposito dei minorenni. Si nutre il pubblico di contenuti in ogni modo e in tutti gli spazi possibili, soprattutto se è un pubblico nei confronti del quale si è più in difficoltà.
- Lo abbiamo già detto, oggi finalmente assistiamo alla compiuta circolarità e integrazione tra online e offline, online che non equivale più soltanto ai social network. Il microtargeting non svanisce. Si continuano a mandare messaggi personalizzati a gruppi di utenti ben selezionati, messaggi che si differenziano nel tono di voce, nei formati e negli slogan. Messaggi che vedono solo i destinatari nel loro newsfeed. La forza di Facebook (e di Instagram) sta ancora in questa cosa qui. Non si capisce altrimenti perché fatturi quasi 18 miliardi di dollari a trimestre.
- La campagna elettorale è un polmone che respira all’unisono, organo di cui si può osservare la vascolarizzazione vaso per vaso, arteria per arteria. L’obiettivo è avere più dati possibile per incontrare e parlare a più persone possibile. Un elemento di novità lo sta sperimentando Trump, nella campagna per le presidenziali, ed è il geofencing. Ovvero quel sistema che – grazie al GPS dello smartphone – definisce un perimetro digitale associato a uno spazio geografico, riconoscendo dove si trovi una persona. Colloca la persona in una mappa, quindi in un luogo fisico (un raduno temporaneo, un comizio, una chiesa, un negozio di armi) e gli manda un messaggio non appena varca una soglia, un confine. Lo si cattura, si mette in un database e poi, incrociando altri dati, si decide se considerare quell’utente come destinatario finale o attivista. Se mandargli quindi materiale di propaganda, documenti utili a convincere il collega in ufficio o in fabbrica, o a scuola, i genitori a casa; oppure se smuovere in lui riflessioni. Il momento zero, quello che porta alla X sulla scheda, è la parte finale di un lungo percorso. Citare ricerche su 1300 persone in un paese di 300 milioni di abitanti (gli Stati Uniti), fatte l’anno successivo a quello delle presidenziali, e incentrate su elettori democratici e repubblicani dichiarati, per dire che i social network non spostano voti non è una risposta da prendere in considerazione.
- Concepire la politica e, più in generale, le scienze sociali come schiave dei numeri e della misurabilità del tutto è un errore marchiano. Non che non si debba ragionevolmente guardare alle ricerche, ma occorre anche sforzarsi di alzare lo sguardo. Ci sono molte più cose tra cielo, terra – e nei social network – che in una ricerca su un campione di 1300 persone.
- Probabilmente è vero, il PD snobba Facebook. La spiegazione dei soldi non sta in piedi. Più che snobismo, ritengo sia profonda incomprensione. Un partito che ambisce a essere maggioranza del paese non può pensare che una pagina Facebook con 320.000 follower sia un punto di partenza onesto, in quest’epoca. Negli anni 50 era come andare con 10 diffusori dell’Unità a portare il giornale porta e porta, nei quartieri e nelle case. Il Partito comunista italiano, ultimo partito di massa organizzato, aveva al suo massimo storico oltre 2 milioni di iscritti. Sarebbe bene cominciare a considerare una buona base di attivisti digitali, quella che ruota intorno al milione.
- Non è questo il luogo per stare a discutere della legge di Metcalfe, ma nello spazio digitale (e non solo) i numeri contano.
- La Bestia è soprattutto organizzazione; forma-partito si sarebbe detto un tempo. Non un software trucido pagato dai russi.
- Quale che sia la base di partenza, considerare un dato significativo 1,2 milioni di visualizzazioni in più per una pagina Facebook da 320.000 follower, significa avere scarsa contezza dei numeri o degli investimenti che servono per arrivare a cifre più significative. Significa inoltre che, non il responsabile della comunicazione del PD, ma la direzione del PD e il suo segretario spendono male i soldi. Che se si hanno poche risorse è meglio concentrarle lì e giocarsi le carte in tv, a partire dall’azionista che sta a via XX Settembre, o in Commissione di Vigilanza.
- Una pagina di una azienda, tra i 150 e 200mila follower, con una sponsorizzazione di 5mila euro al mese, raggiunge e supera agevolmente una copertura di 1 milione di persone.
- Non sappiamo se vincerà Bonaccini. Di sicuro la Lega otterrà risultati importanti (unica previsione che mi azzardo a fare). Una parte del risultato è figlia delle cose che ci siamo detti fin qui. Trovo assurdo – oggi – doverlo ancora scrivere. In ogni caso, certe analisi delle dinamiche digitali mi fanno pensare a un americano – ci sarà pur stato – che esattamente 60 anni fa, alle 20.45 del 26 settembre 1960, giurava che Richard Nixon non avrebbe perso le elezioni per un goccia di sudore vista in tv, nello scontro contro Kennedy. Lasciamo alle parole di Vittorio Zucconi il ricordo di quel che accadde: «Si vede brillare come un diamante carogna sotto le luci primitive e roventi dello studio tv, una gocciolina di sudore nella fossetta sul mento di Nixon che diventa il punto focale dell’attenzione dei 40 milioni di americani sintonizzati sul primo match in diretta fra aspiranti alla Casa Bianca nella storia della comunicazione politica. Non le parole, gli argomenti diversi, le proposte, ma “la goccia”, invano e ripetutamente detersa dal fazzoletto bianco di Nixon, è il messaggio. Un uomo che suda non può essere un buon presidente».
Ps. È precocemente invecchiato questo post dopo la vittoria di Bonaccini alle regionali in Emilia? Non credo. Il ragionamento di fondo che sta dietro quello che avete letto fin qui, è che lo spazio digitale e la sua grammatica sono indispensabili per combattere una battaglia politica, e per vincere. Il dibattito pubblico prende corpo lì dentro in armonia con altri luoghi di formazione del consenso. Stavolta ha dato un contributo essenziale alla vittoria una mobilitazione digitale importante e inedita, quella delle Sardine e ha perso, nel campo avverso, la mobilitazione continua – altrettanto importante – di Salvini.
Le domande che dobbiamo quindi farci sono: Bonaccini avrebbe vinto senza le Sardine? Quanto ha contato la spinta della Meme-politica nella capacità aggregativa delle Sardine? Senza i social network, le Sardine sarebbero state in grado di mobilitarsi, e mobilitare, e infine sostenere la candidatura del presidente uscente? Le risposte a queste domande, che sono domande retoriche, sono dunque ovvie. Ecco perché ritengo che questo post non sia invecchiato.