Maryanne Wolf è una scienziata cognitiva che insegna nell’Università della California, a Los Angeles. Ha scritto due libri importanti: il primo – Proust e il calamaro, storia e scienza del cervello che legge – descrive l’evoluzione e l’attività del nostro cervello quando è impegnato a leggere; il secondo – Lettore, vieni a casa – mette sull’avviso il lettore sui rischi da eccessiva dieta digitale, sull’efficacia – o forse dovremmo dire sull’inefficacia – della lettura da e-reader.
Se il primo volume è un testo complesso, quasi scientifico, il secondo è uno splendido saggio divulgativo, scritto con chiarezza e semplicità, e con un grande amore per la lettura e soprattutto per gli effetti positivi della lettura.
Non leggiamo per essere più colti, qualunque cosa possa significare una simile inutile affermazione, ma leggiamo per provare a essere degli umani migliori. Leggiamo perché il processo di immedesimazione che emerge da quella che la Wolf chiama lettura profonda scava nella nostra emotività, e i solchi che lascia possono essere attraversati dalle nostre esperienze personali e soprattutto da quelle di chi incontriamo nel corso della nostra vita. In quei solchi possono transitare le vicende di sconosciuti perché risuonano di storie lette, storie che ci hanno commosso.
Ho intervistato Maryanne Wolf e le sue sono parole preziose, da custodire e meditare. Dice la Wolf: «leggere è un “atto di resistenza” in un paesaggio distratto. Resistiamo e torniamo a farlo».
La sensazione che rimane dopo aver letto i suoi testi è che nulla sia perduto, ma che molto, moltissimo, stiamo rischiando di perdere. Siamo pericolosamente vicini a una specie di punto di non ritorno cognitivo. Il disinteresse per la lettura è un disinteresse diffuso, esibito, sempre più esente da sensi di colpa. Tutto questo è porzione di un ampio e generale senso di indifferenza e ostilità nei confronti della cultura, che probabilmente esisteva e covava anche prima, ma che adesso ha la possibilità di essere espresso, rappresentato.
Il libro della Wolf parla a tutti, soprattutto agli adulti. Ma con un certo sconforto penso ai ragazzi e alla loro naturale diffidenza verso la lettura.
Il non ho tempo prevale su ogni altra scusa, è la più bella tra le scuse, la più confessabile, la più raccontata, la più comprensibile. Dietro una simile scusa affoga tutta la nostra insana capacità di mettere in fila le priorità della vita: leggere è una priorità per le ragioni che detto prima certo, ma anche per ragioni più banali, pratiche. Chi legge trova lavoro più facilmente, cambia lavoro più facilmente, guadagna di più.
Altri spiegano che la lettura de I Promessi Sposi alle superiori ha vanificato ogni loro sforzo successivo, una specie di tabù ancestrale irrisolvibile. Poi quegli stessi stanno lì a raccontarti di quando volevano fidanzarsi con una collega di lavoro molto carina, che lei ci sarebbe pure stata ma c’era un capo prepotente che si s’era invaghito di lei, e faceva di tutto per ostacolare la storia, utilizzava tre orribili scagnozzi dell’ufficio del personale, di quando i due fuggirono, e lei recitò un commovente addio all’azienda, e lui si infilò in una serie di tumulti dei gilet gialli…
Va detto che non tutti i libri sono uguali, e si tratta di un’affermazione banale. Ma leggere la Wolf ci fa capire che la lettura è importante di per sé, per l’attività che si produce nel nostro cervello, per le sinapsi che attiva.
L’intervista è nel numero di Dicembre-Gennaio del mensile A Scuola di salute che ha come titolo una bellissima frase di Bruno Munari: “giocare è una cosa seria“; vi propongo una specie di proprietà transitiva e vi dico che leggere è un gioco meraviglioso.
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